Il lato oscuro dei megapixel

Megapixel, sveliamo la verità

Io faccio le foto solo con il telefono, tanto sono la stessa cosa”, “il mio nuovo smartphone ha 40 megapixel, batte di gran lunga i 24 della tua reflex”.

Potrei andare avanti parecchio elencando tutte le frasi che mi sono sentito dire, purtroppo molto spesso anche da fotografi a volte più esperti di me.
Facciamo un po’ di chiarezza ed addentriamoci nel lato oscuro dei megapixel.
Innanzitutto dobbiamo chiarire un concetto fondamentale, per alcuni ovvio forse, come funziona una fotocamera?
Il termine “fotografia” deriva dal greco (phôs), luce e -grafia (graphè), scrittura ovvero “scrittura di/con la luce”.
Quindi in una fotocamera la luce viene veicolata attraverso un sistema di lenti a una superficie fotosensibile. Nelle macchine analogiche, quelle con il rullino per intenderci, questa superficie era costituita dalla pellicola. Con l’introduzione del digitale la pellicola è stata sostituita da sensori sensibili alla luce. In estrema sintesi il sensore è un dispositivo che converte la luce in elettroni.

Sì, ma com’è fatto un sensore?

Per comprendere meglio com’è composto un sensore dobbiamo spiegare cosa sia un fotodìodo: si tratta di un dispositivo sensibile alla luce che quando intercetta una determinata lunghezza d’onda (quella della luce) genera una carica elettrica. Dunque un sensore non è altro che un rettangolo di silicio riempito di fotodìodi e dotato di tutti i collegamenti necessari verso il resto della fotocamera. Le griglie di fotodìodi, solitamente rettangolari, sono innestate in una lastra di silicio (il cosiddetto wafer) dal quale, dopo un delicato processo lavorativo, si estraggono un certo numero di sensori. Vien da sé che data una certa dimensione del wafer, più grandi sono i sensori meno se ne estraggono dalla lastra (questo è uno dei motivi per il quale i sensori di grandi dimensioni sono anche i più costosi).
Esistono in commercio varie dimensioni dei sensori, full frame, APS-C, Micro 4/3, ecc. Ma più che sulle possibilità di scelta presenti sul mercato, vorrei soffermarmi sul funzionamento pratico.

Ma non si parlava di megapixel?

Abbiamo detto che un sensore è composto da una griglia di fotodìodi, disposti a scacchiera. Ogni fotodìodo è in grado di catturare una determinata quantità di luce generando una carica elettrica che viene inviata al software di elaborazione dell’immagine. Nell’articolo “Differenza tra immagine e vettoriale” abbiamo spiegato come un’immagine sia composta da migliaia di punti, i pixel. Questi punti non sono altro che i singoli fotodìodi; praticamente se abbiamo una foto 3000 x 2000 pixel, sappiamo che il suo sensore ha 6 milioni di fotodìodi (o pixel) ovvero 6 megapixel.
In realtà ci sono sempre dei pixel in più in quanto non tutti quelli del sensore sono utilizzati a comporre l’immagine ma sono, diciamo, di servizio.

Più siamo meglio è.

Si potrebbe pensare che maggiore è il numero di fotodìodi e quindi di pixel, maggiore sia la qualità della mia immagine. Abbiamo infatti parlato in “Risoluzione, facciamo chiarezza” come più alto sia il numero di pixel più è alta la qualità della nostra immagine. Questo spiega la continua ricerca all’aumentare i megapixel dei dispostivi del mercato attuale. Ma se ragionassimo un attimo ci renderemmo conto che un maggior numero di pixel, a parità di grandezza del sensore, significa una dimensione del fotodìodo più piccola. Viene da sé che un fotodìodo più piccolo riesce a catturare una quantità di luce, e quindi di informazione, minore.

L’impulso elettrico generato dal nostro punto sarà quindi “sporcato”, generando il cosiddetto “rumore”. Il rumore digitale si manifesta sotto forma di puntini più o meno colorati. C’è da dire che comunque ogni dispositivo genera un minimo di rumore, questo è legato al valore ISO con la quale scatto, che regola la sensibilità del fotodìodo alla luce. Più basso sarà il valore di ISO minore sarà il rumore generato.

Immagine senza rumore digitale

Immagine con un elevato rumore digitale

Parlando di rumore più che la dimensione in assoluto, conta la quantità di fotodìodi: più è alto il numero più è piccola la loro grandezza e dunque maggiore sarà il rumore legato al segnale.
Ci troviamo in una eterna lotta tra due forze, aumentando il numero di pixel produco immagini più definite, ma in contemporanea peggioro le prestazioni del mio sensore.
Per capire quanto dovrebbe essere grande un fotodìodo dobbiamo partire dalla grandezza della lunghezza d’onda della luce. Questa misura varia dai 400 ai 750 nanometri, ovvero 0,4 a 0,75 micron (un millesimo di millimetro) perché un fotodìodo catturi la luce non dev’essere più piccolo di queste grandezze quindi.

Grande è meglio?

Parlando di qualità di immagine non c’è ombra di dubbio, più grande è il sensore meglio è. Tutto però ha un prezzo, sensore più grande significa maggiore consumo di energia, fotocamere più grandi, obiettivi più grandi e quindi costi più elevati.
Maggiori sono le dimensioni del fotodìodo, inoltre, tanto più grande è la sua capacità di raccogliere informazioni, restituendo non solo più qualità di informazione nei singoli punti ma anche una gamma dinamica maggiore. La gamma dinamica è semplificando un’espressione che indica l’intervallo tra il bianco puro e il nero totale che il sensore è in grado di registrare. Questo restituisce un maggiore dettaglio nei casi di forte differenza di luce in una scena.
Dunque più che la continua caccia alla quantità dovremmo cominciare a guardare alla qualità.

La grandezza non è tutto

Il fotodìodo è sensibile alla luce, ma oltre alla grandezza del nostro punto dovremmo andare ad approfondire anche la qualità della luce in arrivo. Il sensore non è direttamente esposto alla luce ma questa è convogliata attraverso un sistema di lenti più o meno complesso.
La luce che attraversa una superficie viene deviata, modificata o comunque “sporcata”. Significa questo che oltre al sensore, la resa della mia immagine è la somma di molti altri componenti. In primis la qualità della lente. Ovviamente se la luce attraversa un “fondo di bottiglia” difficilmente, anche se con un ottimo sensore, le informazioni catturate saranno di qualità.
A parità di sensore c’è una differenza sostanziale tra un obiettivo fisso e uno zoom. Per permettere al nostro obiettivo di zoomare, infatti, la sua costruzione prevede un numero di lenti maggiore rispetto ad un obiettivo fisso. Di conseguenza la luce attraversa meno lenti e viene quindi “sporcata” di meno (attenzione che le lenti devono anche essere di qualità!). Anche la grandezza dell’obiettivo fa la differenza, in quanto più grande è il suo diametro maggiore sarà la capacità di cattura della luce e quindi di raccolta di informazioni.
Da qui possiamo capire il perché esistano obiettivi con i costi più variabili. Da 100 euro ad anche 12-13mila euro, la qualità si paga.

Lo smartphone

Abbiamo detto quindi che più grande è il sensore maggiore è la qualità delle informazioni, più il nostro diametro dell’obiettivo, e di conseguenza la lente, è grande più luce, e quindi informazione, entra.
Detto ciò vi lascio a questo confronto, tra un sensore e obiettivo di smartphone e di una reflex.

Confronto in scala tra un obiettivo Canon 18-55 mm (non da livello professionale) e il sistema delle lenti del Huawei P30 pro (NB. il p30 pro è tra i top gamma nel suo genere) 

Comparazione tra un sensore full frame di una reflex professionale e il sensore di una delle fotocamere del Huawei P30 pro. C’è da precisare che solitamente gli altri smartphone, sopratutto di fascia più bassa, hanno un sensore molto più piccolo di quello in figura.

Lo smartphone

Non possiamo ridurre la definizione di una buona foto alla quantità di megapixel del dispositivo che ha scattato. Sono molti i fattori da valutare per un buon risultato; oltre ai megapixel i principali elementi da tener conto sono:

  • La luce (moltissime volte non si fa caso alla cosa più importante)
  • Dimensione del sensore
  • Dimensione e qualità delle lenti
  • Tipologia di obiettivo (zoom / ottica fissa)

Questi elementi sopracitati non sono proprio i soli. Esistono molte altre caratteristiche che nel dettaglio possono influire positivamente o negativamente sulla qualità di una foto.

Il mio intento comunque non è quello di demonizzare le fotocamere degli smartphone; ma alla luce di quello che ci siamo detti finora mi sembra chiaro che uno smartphone difficilmente potrà superare una reflex.
Gli smartphone hanno raggiunto livelli qualitativi molto alti ma la qualità della foto è in gran parte attribuibile al livello tecnologico raggiunto dai software di elaborazione dell’immagine.
Detto ciò non significa che lo smartphone vada buttato per acquistare una reflex, ci sono casi nei quali la foto scattata con il telefono è sufficiente. Quando scelgo uno strumento, qualunque esso sia, devo prima chiedermi quale sia il mio scopo finale.
Non tutti i proprietari di un’auto sono grandi piloti di successo, non tutti i possessori di una fotocamera sono fotografi.

NB. Fino ad ora abbiamo parlato di tecnicismi, abbiamo volutamente lasciato fuori la parte più importante che rende una foto un’ottima foto; ovvero l’occhio del fotografo, il contenuto, la parte che più si avvicina al vero scopo della fotografia: comunicare.

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